No alla Scuola Azienda

07.09.2011 08:53

Per un’istruzione diversa da quella dagli ‘utenti’ e dai ‘fornitori di docenze’

Nota a margine dell’articolo di Nicola Magliulo ’The dark side of the school’, pubblicato su ’L’Indro’ il 12 luglio. Condivido interamente il discorso, nell’impostazione, nel tono e nei contenuti e scrivo le poche pagine che seguono con l’intento di riuscire ad integrare il contributo di Magliulo con alcuni spunti che mi auguro possano invitare ad ulteriori riflessioni e commenti.

 

Provo dunque a motivare il mio discorso con alcune considerazioni preliminari. Dal 1985 (prima della caduta del Muro, prima di Chernobyl e della Perestrojka,dei cellulari e dei Pc; per gli studenti di oggi: un mondo fa) insegno Filosofia e Storia nei Licei; da undici anni (prima del crollo delle Twin Towers) insegno con cattedra a contratto alla Sapienza Università di Roma come titolare di cattedre che spesso hanno cambiato nome (ma questo meriterebbe una nota a parte) – cioè Storia della Filosofia, Fondamenti di Scienze Umane, Estetica, Estetica degli Artefatti – in Corsi di Laurea sia triennali che magistrali e insegno anche in un Master della Luiss per manager di aziende culturali. Molti miei studenti liceali li ho poi ritrovati ai miei corsi universitari e alcuni si sono anche laureati con me. Mi ritengo dunque molto fortunato ad avere avuto la possibilità di conoscere, seguire, osservare tanti giovani nei diversi stadi della loro formazione.

 

Non ho dubbio alcuno sul fatto che ciò di cui parla Magliulo riferendosi alla scuola secondaria superiore si possa riferire anche al mondo degli studi universitari. Non ho esperienza diretta in merito, ma credo che il discorso si possa allargare alle medie inferiori e anche alle elementari. Intanto, all’Università arrivano studenti che dell’istruzione secondaria superiore si portano dietro tutto quanto ha già con molta chiarezza illustrato Magliulo. All’Università, se possibile, quei punti di desolante criticità si acuiscono. Come docente ho sempre proposto e perseguito, in ogni occasione che mi si è presentata e con gli strumenti che di volta in volta ho avuto a disposizione, un’idea e una pratica dello studio e del lavoro scolastico improntate alla condivisione, alla collaborazione, al dialogo e alla riflessione (che in tutta evidenza è alla base anche del discorso di ‘The dark side of the school’). Questa idea di lavoro scolastico ha come suo necessario e imprescindibile presupposto la considerazione della scuola (nei suoi vari gradi, università compresa) come comunità di ricerca, di formazione della persona, di crescita culturale e, soprattutto, di istituzione, piuttosto che di agenzia di servizio pubblico.

 

In una tale comunità di ricerca e di formazione, gli studenti non vanno considerati come utenti o contenitori in cui versare e conservare nozioni, dati, informazioni (i celebrati ‘contenuti’) né come riferimento di griglie, indicatori, ‘competenze’, ‘abilità’ (per seguire un lessico che sta sempre più ammorbando il mondo della scuola e dell’università esalando idiozie dalla carta di registri, verbali, improbabili piani di altrettanto improbabili offerte formative) così come gli insegnanti vanno considerati come guide di un percorso, che conoscono meglio ma che ogni volta si arricchisce, anche grazie agli studenti. E invece, a scuola, gli studenti sempre più finiscono per imparare la competizione e non la collaborazione, la prestazione e non la formazione, la performance e non la maturazione, l’acquisizione di “crediti” e non di un’esperienza, la valutazione e non l’ascolto, da parte di un corpo docente vissuto come corpo estraneo, se non antagonista.

 

Ancora sul lessico, ma naturalmente non è solo questione di termini: ho avuto modo di leggere esempi di modulistica, in uso presso i licei italiani, in cui gli studenti sono chiamati ‘utenti’, gli insegnanti sono detti ‘fornitori di docenze’ e la risposta dello studente al dialogo educativo è detta ‘customer satisfaction’ Una catastrofe… Una scuola superiore che naviga a vista, una laurea che stenta a individuare il suo valore, i master che non sempre, ma spesso, sono parcheggi e tappe per una presunta preparazione al mercato, che intanto va avanti e non aspetta gli ultratrentenni. Nessuna riforma, ha ragione Magliulo, riesce ad avere senso se non avvicina, almeno fingendo, queste questioni, piuttosto che ragionare di numeri e mercati.